Il lavoro nobilita o debilita?

Stavolta Gloss comincia dalla Netnografia, per stimolare curiosità e riflessioni. Intanto, propone una mostra storica, Io-Robotto Una quindicina di anni fa si sperimentavano robot dalle fattezze umane che imitassero le nostre microespressioni facciali. L’inizio dell’empatia? Il Robot Umanoide Iron - Progettato Per Sostituire Gli Umani [Competitor Di Optimus Bot Di Tesla] Tante società cinesi e non, oltre a quelle di Musk, approcciano i robot umanoidi come integrati nella nostra società, e sviluppano auto volanti integralmente ibride: sono contributi significativi non solo al lavoro umano ma persino alla mobilità globale. Ma non basta. In fondo la scelta sarà tra un robot umanoide che farà tante cose esattamente come un essere umano oppure tanti robot super specializzati che ne faranno una alla volta, ma in modo perfetto (lavatrice, spazzapavimenti, lavastoviglie… li abbiamo già). Perché fa paura e inquieta un robot umanoide? Il drammaturgo ceco di nome Karel Čapek tra il 1890 e il 1938 (si pronuncia Ciapek) creò il termine “robot” per un suo dramma del 1920, volendo però indicare più un replicante alla Blade Runner. L’etimo di “robot” deriva dalla parola ceca [robota], che significa [lavoro], nell’accezione un po’ abbietta di [schiavitù]: va notato che negli idiomi slavi “lavoro e schiavitù” sono concetti non solo indissolubilmente legati, ma persino sinonimi. Tuttavia la congiunzione tra lavoro e robot fa riflettere Gloss. Il lavoro nobilita o robotizza? Quindi, schiavizza? E la domanda delle domande: il lavoro nobilita o debilita? I robot di Čapek sono una crasi tra meccanica e biologia umana, prodotti in serie allo scopo di far eseguire lavori pesanti al posto degli uomini. Quindi una sorta di cyborg o "mostri di Frankenstein” ed esattamente come loro si ribellano ai propri realizzatori, dando l’abbrivio al filone fantascientifico della “ribellione della macchina”, da quelle di “Westworld”, oltre a Blade Runner, alle macchine pensanti Hal 9000 di “2001: Odissea nello spazio” e a quelle sterminatrici di “Terminator”, “I, robot” con will smith, oppure “L'uomo bicentenario”. Quello dell'automa come supporto al lavoro umano, è un tema antico di secoli: Gloss pensa al primo poema epico della cultura occidentale, “L’Iliade”, dove Efesto è assistito da robot di bronzo nella sua fucina. Nelle “Argonautiche”, altro poema di età ellenistica redatto da Apollonio Rodio, un gigante di bronzo a guardia di Creta, Talos, è a tutti gli effetti l’antenato di Mazinga. Toccò poi a Leonardo da Vinci progettare e costruire un leone meccanico semovente. Il Settecento è un florilegio di automi dalle sembianze umane che suonano vari strumenti. Jacques De Vaucanson ne realizza il primo meccanico, dalle dita ricoperte di pelle, così ben costruito da suonare il flauto con labbra e lingua mobili. Ecco Ecco il “Dessinateur”, realizzato da Pierre Jacquet Droz e suo figlio Henri-Louis nel 1775: il bimbo-automa, i cui occhi sono capaci di rincorrere la matita ai primi tratti, per poi soffiare via dallo schizzo i residui della mina.
All’aspetto ribelle dei robot si contrappone la scienza di Isaac Asimov, il quale escogita le “Tre Leggi della Robotica” che disinnescano tale rischio per soggetti dal cervello positronico. Nate in letteratura, sono accettate oggi persino in ambito scientifico. 1. Un robot non può recare danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno. 2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non vadano in contrasto alla Prima Legge. 3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la salvaguardia di essa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge. Molto bene, ma sarà sufficiente formulare qualche legge per guidare ed eventualmente contenere l’espansione della AI prima che si appropri delle peculiarità umane? Gloss ricorda che, durante la Rivoluzione Industriale, il luddismo, un movimento operaio, distrusse un telaio meccanico. Però alla lunga la meccanizzazione migliorò la condizione dei lavoratori. Niente più omino insarcofagato in un casello autostradale a respirare i fumi degli scappamenti. Niente più lavandaie a farsi venire i geloni alle mani. Niente più massaggiatori con tendiniti perché sostituiti da poltrone massaggianti. La vera sfida allora sarà cambiare paradigma: ripensare alle radici il sistema economico per trasformare la sfida tra marxisti e detentori di capitali, con l’obiettivo di liberare l’umanità dalle incombenze lavorative grazie ai robot e dedicare ingegno e creatività a scopi più alti. L’essere umano ha una dignità tale che lo porta a vedere oltre il consumarsi fisicamente per sfamare sé stesso e la propria famiglia e ripensarsi come ottimizzatore tecnologico di ciò che già esiste. L’uomo ha da essere l’inventore di nuove tecniche per la trasformazione di energia. Dal moto ondoso del mare al vento, financo alla produzione d’acqua da trasformare in idrogeno. In più, perché la AI non opprima l’umanità, occorrerà che l’ingegno umano impari a creare macchine intelligenti manchevoli, ammaestrandole alla estetica dell’imperfezione. Quindi ben al di là delle "Tre Leggi della Robotica". Conclusione: il lavoro debilita. Evviva i robot!

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