DANDY E TROIE

Le parole instillano convinzione e credulità negli stereotipi fino a renderli “accettabili”. Provo a fare qualche concreto esempio, nel comune linguaggio parlato come nei metalinguaggi professionali. Un uomo con tante relazioni femminili, stimato e invidiato, è un “dandy”; al contrario, una donna è stigmatizzata e crocifissa come “troia”. Nell’esercizio di determinate professioni, il metalinguaggio professionale identifica il merito con il maschile, maschilizzando e tagliando fuori le donne dalla reale quotidianità. Mi imbattei in avvocate che preferivano essere chiamate avvocato nel tentativo di appropriarsi del plusvalore maschio. Alcune docenti dei poli universitari milanesi lottano da decenni contro la discriminazione tra donne e uomini, utilizzando appellativi virati al femminile, come direttora, professora, presidenta, rettora. Anche se “suonano male”, ricordiamo che sono provocazioni atte a rendere consapevoli le persone della discriminazione di genere. Accogliendo queste istanze, il Dizionario Treccani nell’ottobre 2022 pubblica una nuova versione più inclusiva, che ammette l’uso dei termini virati al femminile. Le parole sono coltelli, armi psicologiche prima ancora che sociologiche. Un uso appropriato potrà colmare il gap esistente tra universo femminile e maschile. Ho determinato da anni di non usare, né durante i discorsi né tantomeno nello scrivere, più frasi stereotipate che sottolineino le discriminazioni di genere.

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