QUANDO SCRIVO PARTO DALLA PANCIA

Partire dalla pancia, significa aprire le cateratte della creatività. Infatti, conosco bene il furore creattivo (sì sì con due T). Quel che resta dopo, è da rendere intelligibile anche agli altri e alle altre. Non a caso, quando si scrive un libro, ci si fidanza con lui a tempi prolungati. Essere scrittrice è un vero e proprio lavoro. Non si timbra il cartellino, ma ci si impegna a fondo per fare ricerca, intervistare altri oltre che sé stessi, si leggono opere altrui sullo stesso argomento. Ci si pone l’obiettivo di tradurre tutto questo "engagement" preventivo (non esiste parola in italiano che lo esprima in modo più efficace) in 5/6 pagine scritte al giorno. Lo scrivo a chiare lettere, almeno CINQUE pagine al giorno, già revisionate. Poi arrivano le riletture successive che se non sfociano in controlli e riscritture, in media me ne occorrono una quindicina, non sono utili. Questo si traduce in una media di cinque anni di tempo per scrivere un romanzo. In ogni libro, saggio, poesia, prosa che sia, c’è un pezzo di vita dell’autore o dell’autrice, che ha sputato sangue su quelle pagine. È lavoro a tempo pieno. E’ un partorire. Anzi, di più. Lo vogliamo riconoscere? Il lavoro si paga. Come leggevo nei bar un tempo, "a causa di qualcuno, non si fa più credito a nessuno".

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